
“Il Re è nudo”
Nemmeno una settimana fa in quel di Terni è avvenuto un vero fatto paranormale:
Il presidente Stefano D’Alessandro ha esonerato e poi richiamato il tecnico Abate. Niente di nuovo per chi come noi è abituato alla gestione preziosiana, ma qui il proprietario si è superato. Ma andiamo con ordine:
La Ternana, penalizzata di due punti in classifica, occupa la seconda posizione nel girone B della Serie C, a -3 dalla capolista Virtus Entella, ma per puntare alla promozione in B il tecnico Abate chiede 3 rinforzi specifici per puntellare e rinforzare la squadra, solo che queste richieste creano delle frizioni tra lui e la dirigenza, infatti vengono ingaggiati altri 3 giocatori rispetto a quelli chiesti espressamente dal mister.
E sembrerebbe che questi mancati ingaggi abbiano creato un solco tra la dirigenza e l’allenatore, portandolo all’esonero.
Fin qui una situazione assurda ma capitata altre volte.
Poi comincia a circolare un’altra voce, più insolita: L’allenatore ha poca considerazione nei confronti di Mattia D’Alessandro, ovvero il figlio del presidente Stefano D’Alessandro (Abate ebbe dei contrasti anche con Ibra quando allenava il Milan primavera, sempre per una questione analoga riguardante il figlio d’arte).
E cosi, in tempo zero la notizia risalta e trova conferme, una su tutte la certezza che il prossimo allenatore delle Fere sarà Liverani, con tanto di conferenza di presentazione già fissata per il giorno successivo.
Ma ancora una volta la situazione prende una svolta inaspettata, ovvero con la squadra che richiede un confronto con la proprietà, confronto nel quale si è anche unito Abate, il quale verrà rimesso al suo posto e che porterà a una grande vittoria nella partita disputata subito dopo con l’Arezzo, concludendo la questione esonero come un colpo di testa vulcanico.
Ora, al di la della mesta figura mediatica fatta, soprattutto vista la motivazione di tale avvenimento, voglio porre una domanda ovviamente provocatoria:
La società è di proprietà di chi mette i soldi, e quindi a rigor di logica può farne quello che vuole, con le conseguenze sportive ed economiche del caso. Se un presidente volesse mettere in campo 11 figli potrebbe farlo, dopotutto la squadra la sovvenziona il proprietario.
C’è un lato socio/etico da tenere in considerazione: Una squadra di calcio è anche un valore aggiunto per una città, sia dal punto di vista sociale che economico, che etico. Ma quand’è che una società calcistica si può definire “del popolo”?
Noi Genoani in primis abbiamo definito che “Il Genoa è del suo popolo”, e anche l’amato Prof. Scoglio non perse l’occasione di ribadirlo, ma fin dove arriva la libertà di definire tale concetto da parte del tifoso, e dove inizia invece la proprietà aziendale?
E se si proponesse nuovamente un azionariato popolare, avendo cosi la vera possibilità di possedere una parte di Genoa, o di qualsiasi altra società calcistica? Basterebbe incaricare un delegato e saremmo tutti rappresentati come possessori di una parte di storia.
O forse è una cosa troppo paranormale seguire l’esempio di alcune squadre spagnole?
#Mark

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