Prendo spunto dal bellissimo pezzo del collega e amico #GLT sulla genoanità per riproporvi un pezzo della mia vita che pubblicai qui nell’aprile 2019.
Quando ero piccolino non ero attratto dal calcio. Forse perché la mia salute non mi permetteva una vita normale e non potendo giocare ai giardinetti a pallone con gli altri bambini ero disinteressato. In famiglia tutti erano genoani, ma nessuno davvero sfegatato. Il calcio non era col pane ed il vino in tavola. Salvo per mio papà: la pecora nera della famiglia. Doriano convinto. Quindi nel 1976 quasi per fargli un favore ed entrare nelle grazie di un padre ligio e rigido mi proclamai blucerchiato. Passavano gli anni nella mia indifferenza verso il calcio e una simpatia opportunista per la Sampdoria con due, forse tre presenze tra gli spalti del Ferraris senza emozione. Molte di più quelle al Righi con papà, binocolo e radiolina. Alla scuola elementare il Genoa faceva promozione e mensilmente offriva ad un fortunato bambino una tessera rossoblù plastificata con uno strano pennuto per andare gratuitamente allo stadio. I miei compagni facevano a sportellate. Io impietrito non capivo perché stavo fuori da questa bagarre; scesi da marte e dal mio mondo difficile e realizzai che a scuola erano tutti genoani e mossi da pura passione. Ed il calcio non era solo uno sport ma una “cosa” da condividere, un motivo di agglomerazione, scherzo e passione tra loro. Io ne ero fuori. Non avevo molti amici, non attiravo l’attenzione degli altri e nella mia solitudine avevo scoperto qualcosa di nuovo che univa. E avrei potuto farne parte.
Quindi tra le mie mille domande un bel giorno tornai a casa ed affrontai mio padre con una domanda da premio nobel per un bambinetto di 5 anni: “papà, perché non mi hai mai portato a vedere una partita del Genoa? Per darmi libera scelta senza condizionarmi: dovresti!”. La risposta fu: “sei sicuro? Vuoi una vita di sofferenze?”. Stetti zitto. In famiglia avevo uno zio juventino, pecora nerissima, che adoravo e provava con passione ma senza successo ad insegnarmi il gioco degli scacchi. Mi diceva: “vuoi una vita da vincente? Tifa Juve e avrai tante soddisfazioni!”. Ora capisco quanto avesse ragione mio zio. Allora, confuso, ero tentato. Mio padre preoccupato mi invitava ad ignorare la cosa, perché non avrebbe avuto senso: da genovese non c’era alternativa… la scelta era forzatamente tra le due squadre della mia città. Alla fine dell’estate del 77, tormentato da dubbi assurdi, voglia di amici ed una latente forma di ribellione mi riproposi a mio papà: “portami a vedere il Genoa! Voglio avere l’opportunità di scegliere!”. E così, sfiancato, fece. Il 21 agosto del 1977 mi portò disgustato nei distinti per la gara di coppa Italia tra Genoa e Foggia. Il Vecchio Balordo sorprendentemente vinse 5-1. Mai visti così tanti gol tutti assieme. In campo Onofri, Pruzzo e Damiani e tra gli spalti festa e delirio di quei colori favolosi. Mio padre disperato mi vedeva brillare gli occhi e mi diceva “non farlo! Passeranno decenni prima che il Genoa faccia cinque gol tutti insieme”!
Fu quel giorno che divenni genoano nel cuore per sempre. Iniziando un po’ per sfida e per cercare amici a scuola, feci la scoperta che mi marchiò per sempre, nel dolore del mio papà buonanima e nella sorpresa di scoprire una passione inaspettata che é parte di me anche oggi che mentre condivido tutto questo ho gli stessi brividi di allora.
Il 30 novembre del 1997, 20 anni dopo, il Genoa di Kallon e Giampaolo si impose 5-1 sul Monza, io uscendo dallo stadio chiamai mio padre al telefono per dirgli che aveva ragione ma che ero ancora felice della mia scelta. Lui rise e mi prese in giro.
Ci vuole di peggio di Preziosi (che contesto) a farmi perdere la voglia
Ciao Zio in cielo bianconero.
Ciao Papà in cielo blucerchiato.
Penn
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